martedì 1 gennaio 2008

QUELLO CHE HO PASSATO CON LA MATEMATICA:IL MIO RAPPORTO


In questa parte cercherò di raccontare la mia esperienza traumatica con la matematica, le mie riflessioni pedagogiche e infine la mia breve esperienza come supplente insegnante di matematica.
Desidero introdurre il discorso facendo una premessa.
Oggetto di uno strano destino, la matematica è lo spauracchio di moltissimi studenti di ogni ordine e grado e sembra che tale rimanga nel passaggio tra le diverse generazioni. Molti adulti, infatti, che anche se a parole affermano necessità del suo studio, ammettono poi, con sincerità, di non averci mai capito niente…...
Devo dire che nel mio caso avendo una mamma appassionata di matematica, la sua visione della materia era ludica e divertente che però si trovava in contrasto con quello che invece vivevo a scuola.
Quando si parla di matematica si pensa spesso ad una disciplina arida, fredda, niente affatto creativa, che ha costretto (e continua a costringere) molti studenti, eccellenti in altre discipline, a dover fare i conti con clamorosi insuccessi.
In effetti, in matematica, a scuola, si fallisce molto più spesso e in modo più eclatante che in altre discipline… perché?
Non si può dire che accade lo stesso con la matematica "del mondo" .
Infatti, fin da piccolissimi i bambini "giocano" con la matematica "del mondo", quella che in casa, al parco giochi, al supermercato, in strada… serve per scoprire come funziona un meccanismo, per non farsi imbrogliare ad un gioco, per fare la spesa…
Nell’infanzia i bambini imparano che la matematica è la chiave per scoprire il mondo, la cercano, la usano, tentano di aumentare le "competenze matematiche" e le "competenze in matematica" (Fandiño Pinilla, 2003) possedute: qualora queste non fossero sufficienti a far funzionare un meccanismo non la temono, non pensano che è riservata ad una cerchia di pochi eletti: i "dotati".
Ma a scuola, cosa succede? Da che cosa dipendono le differenti "impressioni" intorno alla matematica?
Come appare da numerosi studi, l’insegnante trasmette agli alunni non soltanto la materia in programma ma soprattutto innumerevoli contatti personali venendo a stabilire con essi relazioni strettissime..
Credo che gli alunni inizino ad imparare i primi concetti di ciascuna materia scolastica in forza di una motivazione secondaria (per ubbidire o far piacere all’insegnante) e non tanto per il piacere della materia insegnata. Se la personalità dell’insegnate è positiva, gli alunni imparano anche se la materia di studio non è tanto interessante, o meglio essi finiscono per interessarsi ad essa perché vogliono emulare l’insegnate che stimano e amano;viceversa (nel mio caso) quando l’insegnate non è amato, l’unico motivo per studiare resta il legame oggettivo con la materia. Secondo me quindi se pensiamo all' atteggiamento dell’allievo nei confronti di una materia, non ci possiamo limitare al fatto che essa piaccia oppure no, ma dobbiamo considerare il suo legame con altri fattori, come quello di riuscire o meno nella materia, e soprattutto il rapporto con l’insegnante. Nel caso della matematica, conta anche la visione personale dell ’allievo nei confronti della materia e il paragone tra la propria visione e quella dell’insegnante. Un insegnante dovrebbe avere una visione della matematica di tipo relazionale: la matematica è ragionamento, processi logici, costruzione di teorie, argomenti legati tra loro in un quadro coerente ed unitario, in cui tutto ha un perché.
A questa visione si contrappone quella di tipo strumentale, in cui la matematica è considerata come regole e procedimenti isolati e apparentemente privi di un significato (senza alcun riferimento pratico alla realtà), da applicare meccanicamente; pertanto fare matematica in questa ottica si riduce a imparare a memoria regole, senza capire il significato che c’è sotto, e alla loro mera applicazione.
La scuola italiana è troppo piena di insegnati che hanno questa visione e la trasmettono ai propri allievi.
Se poi si considera la percezione di fallimento che uno studente ha di sé è legata ad una diversa visione della matematica tra lui e l’insegnante, cui segue in generale una difficoltà nel capire, il non riuscire (sancito da voti insufficienti dati dall’insegnante), uno scoraggiamento dell’allievo che sfocia in un atteggiamento negativo nei confronti della materia. La conseguenza è spesso un crollo di autostima, un rinunciare a studiare, classificare la materia come difficile, ritenersi non adeguato, convincersi che la matematica è per pochi eletti.
....L 'avventura traumatica da alunna
Rileggendo il mio passato matematico ritrovo delle difficoltà di comprensione della materia condizionato soprattutto dal rapporto negativo instaurato con la con la maestra delle elementari
La maestra era anziana ed il suo metodo era un po’ rigido e sbrigativo ma soprattutto manesco e antipedagogico e ciò mi inquietava.
Direi che il suo comportamento era essenzialmente autoritario: io e i miei compagni avevamo scarsa possibilità d’azione ed eravamo obbligati a sottometterci senza fiatare alle prescrizioni dell’insegnante.
Ho ricordi ancora vivi di quando dava degli scapaccioni alla mia compagna di banco, quando una volta prese la testa di un mio compagno e la sbatteva a più riprese contro il muro imputandogli di non aver capito il concetto da lei spiegato.
Per un bambino assistere a queste scene è davvero sconvolgente e instillava in me la paura di sbagliare e conseguentemente di venir percossa (cosa che non è mai successa).
La paura giorno dopo giorno cresceva dentro di me a tal punto che quando il lunedì c’era la maestra in questione io avevo sempre il mal di pancia!
Avevo somatizzato questa ansia a livello corporeo…. per me andare a scuola durante le sue ore era traumatico.
Come ci insegna la psicologia,“Il corpo è, per il bambino, lo strumento,il solo o quasi, prima del linguaggio, attraverso cui esprimere una sofferenza psicologica” (Kreisler).I sintomi di somatizzazione, si collocano nell’intersezione tra le due dimensioni che caratterizzano ogni essere umano: la psiche e il soma. Mente e corpo sono parti inscindibili, la cui non integrazione genera disagio che si può manifestare sia a livello psichico sia a livello fisico. Come affermano R.Gaddini e L. Kreisler, i bambini, quanto più sono piccoli, tanto più utilizzano il corpo come “luogo e mezzo” privilegiato attraverso il quale esprimere il proprio malessere. Il corpo è infatti il primo mezzo con cui il bambino si pone in relazione con le figure significative.
Allo stesso tempo, non riuscivo a manifestare le mie difficoltà a parole che riscontravo e reagivo con la non voglia di eseguire i compiti.Mia madre non sapendo più come fare a capire che cosa c’era che mi bloccava, mi ha coinvolto in un gioco di ruolo in cui io dovevo assumere i panni della maestra in questione e le mie bambole come mie alunne.Così facendo, potè verificare con i suoi occhi il metodo antipedagogico dell’insegnate riflesso nel mio.Ma ormai era troppo tardi per correre ai ripari e non potè far altro che avvisare l’insegnante delle medie del mio traumatico passato con la matematica.
Ricordo come se fosse ieri lo stampato che aveva appeso in classe che diceva:”prima di parlare inserire il cervello”.
Devo dire un manifesto di vera pedagogia!
Come potevo apprendere serenamente in un ambiente vissuto con terrore?
Dalle teorie più recenti sulla motivazione appare chiaramente che la motivazione ad apprendere qualsiasi materia e quindi anche la matematica sia una capacità naturale esistente in tutti gli alunni quando si trovano in una condizione mentale positiva e in un ambiente educativo che sia di sostegno.
Ovviamente non è secondario per motivare i bambini situazioni e attività che li stimolano a coinvolgersi personalmente e attivamente nel loro apprendimento e che siano direttamente o indirettamente legati ad esigenze, interessi, obiettivi personali degli alunni.
Nel mio caso non venivamo stimolati:quante definizioni a memoria da imparare, quasi che fossero ricette dettate dall'insegnante!
Non mi sentivo coinvolta nel magico gioco della matematica ma ero uno dei tanti “robottini” che dovevano fare tutto quello che veniva ordinato senza diritto di dire di non aver capito.
Pedagogicamente è da evitare che nell’allievo si inneschi quel meccanismo che lo faccia abituare a non capire perchè paradossalmente, si rinuncia ad usare la propria testa, proprio in matematica, più che nelle altre materie.
In una situazione del genere ogni argomento accolto era accettato con timore, con la paura dell’insegnante.
Ricordo ancora quando mi insegnò le divisioni facendole in un modo inusuale e poco pratico.
Alle medie trovai una brava insegnante che accolse e comprese le mie difficoltà le mie paure e stabilì un rapporto positivo con me; le mie difficoltà si sono in parte attutite anche se c’è voluto del tempo per riacquistare fiducia verso una nuova figura d’insegnante e conseguentemente della materia.
Alle magistrali il rapporto è migliorato notevolmente perché grazie alla professionalità di una valida insegnante sono riuscita a fare dei progressi.
Attribuisco agli insegnanti il dovere di far piacere la matematica, la responsabilità di farla capire agli e soprattutto a cominciare dalle elementari si dovrebbe spiegare l’utilità pratica della materia perché non si può studiare una materia che credi non ti servirà mai.

.....la mia avventura da insegnante
L’anno scorso mi sono ritrovata ad insegnare come supplente in seconda elementare presso una scuola di un paese vicino a casa mia .
Durante il mio insegnamento ho cercato di far in modo che la lezione che presentavo, di fronte a quegli allievi, in quell'ora fosse non una lezione che si potesse meccanicamente ripetere comunque in circostanze analoghe.
Con estrema sensibilità di fronte alla classe, osservavo in tutti ed in ciascuno ogni senso di dubbio, di stanchezza, di smarrimento, di noia, modificando prontamente l'andamento della lezione per venire incontro ad ognuno di tali stati d'animo.
Ho cercato inoltre, di trasmettere ai miei alunni quanto la matematica è utilissima nella vita di tutti i giorni e questa sua utilità deve essere messa in evidenza continuamente per favorire l’accettazione di essa da parte degli studenti.
Bisognerebbe fare in modo che ognuno vedesse della matematica una utilità da riconoscere in modo personale .
Credo che con ogni mia esperienza di insegnamento mi arricchisco sempre più sia a livello professionale che personale. Mi sono sempre posta come obiettivo l’instaurare una relazione positiva con gli alunni, di essere il più possibile pratica nelle mie pur brevi spiegazioni e lasciar ampio spazio al loro ragionamento. Accompagnato dal rispettare i tempi di ciascuno studente (soprattutto nell’ambito della matematica in cui per me non essenziale la velocità), far sì che essi apprendano bene nel modo più sereno possibile, considerando che il voto (cioè la misura della valutazione individuale dello studente) è anche un giudizio che io e loro insieme diamo in modo oggettivo sulla efficacia del mio insegnamento.
Non posso sperare che tutti imparino tutto, posso solo creare le condizioni ottimali per mettere ciascuno in grado di esprimersi al meglio.
Ho così di superato la visione che mi portavo dentro di maestra come una sorte di direttore d’orchestra che detta le note e le regole e tutta l’orchestra obbedisce e, facendolo bene, impara; andando oltre all’azione dell’”ammaestrare gli alunni” a ripetere come i pappagalli; e mi sono impegnata a fare in modo che i miei studenti partecipassero personalmente nella costruzione della conoscenza.
Dalla concezione di insegnante come direttore d’orchestra (vissuta sulla mia pelle) e della classe come ripetitrice di note, a concezione di insegnante come responsabile dei processi di responsabilizzazione da parte degli allievi (vissuta da insegnante).
Come dice Hillman " La scuola deve insegnare la Matematica con più immaginazione e meno autorità". A mio parere, i principi su cui si fonda la Matematica sono molto meno numerosi delle regole che si impongono agli studenti, ai quali viene purtroppo tolta la possibilità di quel momento "creativo" della deduzione e della scoperta con l’imposizione autoritaria di quei risultati. Si dovrebbe fare in modo che l’alunno sia messo in grado di ottenere da solo trasformando così la materia da una sequela di imposizioni non capite e quindi rifiutate in un divertimento intellettuale gradito e stimolante. È dal fare pratico che ho stimolato i miei alunni a ricercare le classiche regole.
È stata una bellissima esperienza in cui ho potuto riscoprire la matematica attraverso il suo lato più giocoso e divertente, cercando sempre uno sfondo integratore ad ogni argomento per permettere ai bambini di averne interesse.Spesso ho introdotto gli argomenti con un brainstorming partendo dal presupposto che le menti degli alunni non sono "tabule rase" ma occorre partire dai loro preoconcetti per costruire l’apprendimento.
Le competenze che un bravo insegnante deve possedere, a parer mio, non fanno esclusivamente riferimento al sapere in quanto tale, in altre parole, al bagaglio nozionistico che egli ha acquisito durante il corso degli studi, ma si riferiscono soprattutto al saper essere e al saper fare.
Questo significa che l'insegnante deve essere in grado in primis di relazionarsi con l'allievo, cercare quando possibile di mettersi nei suoi panni, quindi assumere un atteggiamento empatico, la “considerazione positiva incondizionata” di Rogers cioè l’accettazione della persona in modo incondizionato nella sua totalità, si tratta di un’accettazione non giudicante dell’altro che è la base di una educazione veramente libera e democratica che garantisce agli alunni che la loro individualità si posa su una base sicura che nessuno metterà mai in discussione, qualunque sia il loro comportamento o il loro rendimento scolastico.
Sono consapevole che l’insegnante è umano e fallibile e avrà dei confini personali che pongono un limite alla sua capacità di “riconoscere positivamente l’altro”. Tuttavia credo che se un insegnante vuole sviluppare una relazione positiva con i suoi alunni sarà maggiormente consapevole di questi limiti e cercherà comunque di sviluppare un atteggiamento accettante e accogliente.
Occorre soprattutto evitare il rischio di identificare la persona con il suo comportamento:spesso le minacce e le sanzioni (un brutto voto,un rimprovero) operano contro la persona nei suoi bisogni di autostima e l’accettazione degli altri(piramide Ma slow)
Anche se personalmente non ho mai ricevuto i suoi sonori ceffoni sono l’idea di poter sbagliare mi metteva ansia per cui si innescava quel meccanismo di paura di cui è difficile liberarsi..
Credo che la mia antipatia per l’insegnante, la paura che incuteva si è riflessa in un’antipatia e paura verso la materia: non avevo stimoli a riuscire bene in questa materia.
L’insegnante dovrebbe avere nei confronti dei suoi alunni un atteggiamento congruente cioè di chi sa adeguare le risposte alla relazione educativa che si sta instaurando in quel momento in base a proprio sentimenti ed emozioni.
Non dobbiamo mai dimenticare, che l'insegnamento è il mestiere più adatto a chi ama stare con i bambini e i ragazzi e il bravo insegnante è colui che accetta che anche da loro può imparare qualcosa

Un ultimo suggerimento a tutte le attuali e future insegnati:
Non cercate di soddisfare la vostra vanità, insegnando loro troppe cose. Risvegliate la loro curiosità. E’sufficiente aprire la mente, non sovraccaricarla. Mettetevi soltanto una scintilla. Se vi è della buona materia infiammabile, prenderà fuoco.
Anatole France (Premio Nobel per la letteratura 1921)

In fondo la matematica è come uno scoglio da superare, ti può fermare e magari romperti la barca ma basta costruirne un’altra e ripartire all’arrembaggio.
Molte persone adulte si vedono bloccare interessanti opportunità professionali e personali perché hanno paura della matematica o non riescono in questa disciplina.
In conclusione, per chi insegna a studenti, a qualunque livello d'età è utile cercare di capire perché queste persone che riescono bene nelle materie che prediligono, abbiano una incapacità specifica in matematica. Infatti, in generale, un rapporto difficile con la matematica in età adulta è conseguenza di un percorso scolastico più ricco di insuccessi che di successi in matematica, più segnato dall'ansia che dalla soddisfazione del problema risolto. Ciò viene di solito spiegato rifacendosi a luoghi comuni niente affatto scientifici: l'abilità matematica è innata, che l'intuizione matematica arriva senza essere educata, che solo pochissimi possono fare matematica perché "hanno il pallino". Il metodo con cui l'insegnante insegna la matematica è determinante:anche gli argomenti più astratti possono risultare chiari se l’insegnante li affronta in modo esemplificativo, semplice e scherzoso. Penso che se sei fortunato nell’incontrare un insegnante che ti faccia apprezzare la matematica con il suo entusiasmo allora sì che ti può venire il famoso “pallino”!
Invece, molti di questi adulti avrebbero potuto superare le loro difficoltà in questo campo se fossero stati messi in condizioni di farlo già a scuola.
Sembra utile allora lavorare ora riflettendo sulle emozioni coinvolte nell'apprendimento/insegnamento della matematica offertoci dal Professor Lariccia per poter individuare gli ostacoli a un apprendimento/insegnamento sereno della disciplina matematica, dei suoi modelli e delle sue acquisizioni.

Nessun commento: